Negoziati Brexit ancora in stallo

Il 23 giugno 2016 la Gran Bretagna decideva con il voto della
Brexit di uscire dall’Unione Europea. Erano necessari quasi dodici mesi, però,
per poter veder invocato l’articolo 50 da parte di Theresa May, dando il via al
conto alla rovescia verso i due anni di transizione per l’uscita dall’UE. La
scadenza naturale di tale data risulta dunque per il 31 marzo 2019. Nel
frattempo metà del tempo a disposizione per le negoziazioni della Brexit è
ormai passato, senza che siano stati raggiunti risultati particolarmente significativi. Theresa May nel giugno 2017 ha perso la maggioranza assoluta in parlamento, venendo costretta ad un debole alleanza con gli unionisti nordirlandesi. Per quanto riguarda la Brexit, dopo una prima fase di stallo, lo scenario pareva aver progressivamente trovato
una direttiva maggiormente propositiva, in particolare grazie ai toni
maggiormente accomodanti della May ed alla sua apparente disponibilità ad ampie
concessioni verso l’Unione Europea, sia in termini economici che in termini di
diritti per i suoi cittadini anche dopo l’attuazione della Brexit. Nelle ultime
settimane, però, stiamo assistendo ad un nuovo incagliarsi della situazione,
con una serie di punti irrisolti che paiono nuovamente avvicinare lo stallo fra
le due parti. Si parte dai dubbi legati ai diritti dei cittadini europei nello
scenario post Brexit, per proseguire con le questioni economiche ed arrivare
allo spinoso dibattito inerente la frontiera nordirlandese. L’economia del
Regno Unito non ha certamente brillato nel corso del 2017, con una crescita
sempre positiva ma in calo, in quello che è stato il primo anno del dopo voto
Brexit (anche se, fino all’aprile del 2019) la Brexit resterà soltanto in
preparazione. Il Pil britannico ha quasi dimezzato la sua crescita (gli ultimi
dati parlano di una salita annuale dell’1,3-1,4%), mentre l’inflazione resta
leggermente troppo alta e vicina al 3%, ben oltre il target della Bank of
England fissato al 2%. Questo potrebbe spingere l’istituto guidato da Mark
Carney a ritoccare i tassi di interesse prima del previsto per frenare la corsa
dei prezzi.
Non sono state a guardare le banche d’affari, con numerosi
istituti che hanno preparato piani “B”, istituendo nuove sedi europee nel caso
(ormai sempre più probabile) che Londra perda il passporting per i servizifinanziari, rendendo quasi impossibile parte del businness con i clienti europei
per le aziende che non dispongano delle necessarie strutture nel Vecchio
Continente. Si preparano anche alla mossa d’uscita sia l’Ema, l’Ente del Farmaco
Europeo (con Amsterdam che ha beffato Milano), e l’Eba, il corrispettivo nel
settore bancario, andato a Parigi, dopo un incredibile sorteggio con Dublino
(mentre la più quotata candidatura tedesca per il nuovo ordine post Brexit era
stata scartata già al turno precedente). In questo scenario la sterlina hatuttavia archiviato un 2017 positivo nei confronti del dollaro, perdendo invece
ancora terreno nei confronti dell’euro, in forte recupero sui mercati valutari.
Il pound resta tuttavia circa 8 punti percentuali più debole rispetto allo
scenario precedente al voto della Brexit nei confronti del dollaro, mentre vale
il 12-13% in meno nei confronti dell’euro.