Crolla il petrolio. Ripercussioni anche sull'inflazione?
I dati di ieri sulle scorte americano di greggio hanno ancora una volta superato le aspettative. Le scorte sono salite di 8,2 milioni di barili, ben di più rispetto alle aspettative degli analisti, che erano per un aumento leggermente inferiore ai 2 milioni. L’ennesimo dato statunitense sopra le stime ha fatto crollare le quotazioni dell’oro nero: dopo tre mesi di lateralità fra 51,5 e 54,5 dollari al barile il prezzo del WTI, il West Texas Intermediate, è sceso fino a toccare i 50 dollari al barile. Per il benchmark americano si tratta dunque di un primo segnale negativo, con una discesa su base giornaliera vicina al 5%. Ben più preoccupante è l’aspetto tecnico: la rottura del supporto collocato a 51,2-51,5 $ che potrebbe innescare ulteriori vendite, con target verso i 49,3 (sui massimi di agosto) ed eventualmente anche verso i 48$. In calo anche il Brent che scivola a 53 $.
La forza del dollaro ed i dati relativi alle scorte frenano dunque la risalita voluta dall’Opec, che aveva raggiunto a fine novembre un primo importante accordo per il contenimento della produzione, in uno scenario che appare in indebolimento per l’oro nero.
Sui mercati qualcuno già si chiede se questa discesa del petrolio potrà frenare la ripresa dell’inflazione. Infatti proprio la risalita dei prezzi del comparto energetico è stata alla base del balzo dei prezzi degli ultimi mesi. E nel caso in cui l’inflazione rallentasse nuovamente potremmo avere una serie di effetti a cascata, che coinvolgerebbero anche le politiche monetarie delle banche centrali. Uno scenario in continuo movimento da seguire con attenzione.