Brexit: l'economia inglese frena ancora
Il Regno Unito annaspa, la crescita stenta. Prima della Brexit l'economia britannica cresceva spedita ad un ritmo fra i 2,5 e i 3 punti percentuali, facendo della Gran Bretagna il paese del G8 con la maggiore crescita. In appena quindici mesi il Regno Unito è fra quelli che crescono meno. I cittadini risparmiano meno o addirittura mettono mano al salvadanaio, il tutto a causa della Brexit e della salta dei prezzi che sta rallentando il Regno Unito. E' infatti ormai scontato che le stime del governo risultano troppo ottimistiche e il 2% non sarà raggiunto. Nei primi due trimestri dell'anno il paese infatti è cresciuto soltanto dello 0,5%, frutto di un +0,2 ed un +0,3%, entrambi al di sotto delle aspettative. Pur ammettendo un incremento estivo è lecito attendersi una crescita del Regno Unito fra l'1,2% e l'1,4%. In altre parole almeno mezzo punto percentuale in meno rispetto alle aspettative. Considerando un PIL britannico del 2016 attestatosi a 2.850 miliardi di dollari, un ammanco di queste proporzioni significherà almeno una ventina di miliardi di dollari. Non il massimo per un paese alle prese con le difficili negoziazioni per la Brexit. Già, perchè la Brexit ancora non c'è. Viene dunque da chiedersi cosa capiterà dopo il 31 marzo 2019, quando molte banche potrebbero fare fagotto verso l'Europa, trascinando Londra indietro di almeno un paio di decenni.
La Brexit e il crollo della sterlina
La sterlina ha toccato nuovi minimi nei confronti dell'euro. Complice anche la forza della moneta unica, il cambio EUR/GBP è salito sopra quota 0,925. In altre parole per il rapporto inverso fra sterlina ed euro anche 1,08 è stato violato. Nell'estate 2015 con un pound si acquistavano 1,44 euro, oggi meno di 1,10. Le cause sono molteplici, riassumibili in primis con la BREXIT, ma anche con l'avvicinarsi della fine del Quantitative Easing europeo, mentre Carney continua a usare toni da colomba. Un rialzo dei tassi da parte della Bank of England, infatti, infatti mettere in crisi il mercato immobiliare britannico, che dopo anni di forte salita appare ora come un gigante dai piedi di argilla. In questo scenario possiamo inserire la debolezza della sterlina, che non è però indolore. Il Regno Unito è infatti un grande importatore sia dall'Europa che dagli Stati Uniti. Il rischio, con un pound low cost, è quello di importare anche inflazione. Esattamente quello che è capitato con la sterlina debole degli ultimi mesi che ha spinto l'inflazione UK ormai sopra la sogliadel 2% ipotizzata dalla Bank of England. Ecco dunque un'altra spiacevole conseguenza della Brexit.
Brexit: le critiche di Bloomberg
“Gli inglesi volevano riprendere il controllo delle loro frontiere, il risultato è quello che vediamo” riassume polemicamente Bloomberg, ormai decisamente schierato contro la Brexit, vista come una vera e propria calamità. Qualcuno fra i Brexiters, in netto calo rispetto ai picchi di questa primavera, prova a dire che la posizione del colosso dell'informazione finanziaria americana sia influenzata dai danni economici che deriverebbero alla stessa azienda per la Brexit, visto che Bloomberg investito molto per una nuova sede nel cuore della City di Londra, ma non è difficile per il fronte opposto rispondere che le critiche si poggino su solidi numeri e dati certificati dall'istituto di ricerca statistica nazionale. E a essere schierato in questa direzione, decisamente contraria alla Brexit, non è soltanto Bloomberg, ma tutta la stampa finanziaria londinese, che veda nella Brexit un forte rischio per la sopravvivenza della City per come la conosciamo oggi. Certamente il distretto finanziario non cesserebbe di esistere, ma potrebbe andare incontro, a causa della Brexit, ad una sforbiciata di 50.000 o anche 100.000 unità, con una discesa dei fatturati delle aziende britanniche di miliardi. La lunga storia della Brexit pare dunque essere soltanto all'inizio, con inegoziati fra Regno Unito e Europadestinati a durare a lungo. Forse anche oltre il 31 marzo 2019, l'ipotetica data della vera Brexit.