Boris Johnson sulla Brexit: "L'Europa deve pagare il Regno Unito"
La Brexit sin qui aveva regalato molta incertezza e pochi punti fermi. Uno di questi era rappresentato dal fatto che il Regno Unito dovesse pagare l’Europa al fine di garantirsi un’uscita dall’UE ordinata ed accordi commerciali non eccessivamente penalizzanti. La cifra non era chiara, si parlava di 50-60 miliardi di sterline, poi lievitati a circa 100 miliardi. Boris Johnson, segretario di stato per gli affari esteri, prova a ribaltare il tavolo delle negoziazioni della Brexit. Secondo l’ex sindaco di Londra, le richieste di Bruxelles ed i conti per la Brexit sarebbero spropositati. Anzi, il paese anglosassone sarebbe invece, a suo dire, in credito con l’Europa. In una sua intervista al Daily Telegraph, Johnson sostiene infatti che il Regno Unito avrebbe diritto a un rimborso da parte dell’Europa: 9 miliardi di pound dalla BEI, la Banca Europea degli Investimenti, a cui andrebbero sommati altri 14 fra beni immobiliari e denaro dell’Unione Europea.
Boris Johnson sposa dunque la tesi dell’ex leader conservatore Iain Duncan, ritenendo che vi siano argomenti a favore di una "final bill" decisamente minore o addirittura a credito per il Regno Unito, in quanto l’Europa “ha una serie di asset per cui anche il Regno Unito ha pagato”. Johnons ha anche accusato Bruxelles di utilizzare tecniche di negoziazione brutali: "They are going to try to bleed this country white with their bill” (cercheranno di dissanguare questa nazione con il conto della Brexit). Secondo Johnson il panico per un non-accordo al termine dei due anni dovrebbe essere paragonato a quello per il millennium bug, che ebbe conseguenze decisamente limitate. E' dunque evidente come la distanza fra le due parti, in questa negoziazione della Brexit, non fosse mai stata tanto ampia. Ha senz’altro contribuito a ciò la cena fra Theresa May e Jean Claude Juncker di fine aprile, in cui sono emerse opinioni decisamente contrastanti sul funzionamento dell’articolo 50 (con il Regno Unito che pare non conoscere o non voler comprendere il suo reale funzionamento protocollare a detta di Bruxelles).
E’ poi possibile che Boris Johnson e Theresa May vogliano tenere una posizione decisamente rigida e ferma contro l’Europa fino all’8 giugno prossimo, data in cui il Regno Unito tornerà alle urne per rinnovare il Parlamento, facendo leva sul senso di patriottismo dei britannici. Una strategia che potrebbe alleviarsi dopo il voto, per evitare una Brexit troppo dura ed i conseguenti danni che ne deriverebbero per la City dI Londra, il Regno Unito e più marginalmente per l’Europa (che potrebbe ridurre le proprie relazioni con un prezioso partner commerciale). Una certezza, però, arriva dai recenti dati macroeconomici britannici, con la crescita del prodotto interno lordo (il PIL) che sta rallentando (l'espansione dell’ultimo trimestre si è fermata a +0,3%, la più bassa da inizio 2016), mentre anche industria e manifattura frenano, nonostante la sterlina debole che ha fatto seguito al voto della Brexit.